Poussey Washington Fund: non solamente serie tv

Lo scorso luglio è stata rilasciata da Netflix l’ultima stagione di Orange is the new black: per chi non la conoscesse, è una serie televisiva statunitense basata sulle memorie della scrittrice Piper Kerman (finita in carcere per riciclaggio di denaro sporco).

Sin dalla prima stagione ci sono stati introdotti diversi personaggi, delle quali tra un episodio e l’altro ci veniva rivelato qualcosa del loro passato e il motivo che le aveva condotte in cella, aiutandoci ad immedesimarci con loro.

Il percorso di ciascuna di esse è stato unico: chi ha perso se stessa, chi ha dovuto trovare un modo per sopravvivere a quella che è la dura realtà del carcere (guardie dure e spesso corrotte, una gerarchia interna tra carcerate dove le più forti han imbastito una vera e propria attività di contrabbando e spaccio e non tollerano rivali), chi è riuscita ad uscire e ha dovuto imparare nuovamente come si sta al mondo.

Credo sia una delle serie più importanti comparse sui nostri schermi dal punto di vista sociale: ci ha aperto gli occhi su un sistema fallace, che non impiega in modo appropriato le proprie risorse per investire sull’istruzione e l’assistenza per quelle carcerate che non hanno commesso reati così gravi da non meritare un aiuto per migliorare e riuscire un domani a ricostruire e riprendere in mano la propria vita.

*SPOILER* (per chi non l’ha mai vista) : in seguito alla morte del personaggio di Poussey durante la quarta stagione, era stata iniziata una rivolta da parte delle detenute che si sperava avrebbe portato giustizia e forse anche una svolta all’interno della gestione dei carceri in generale (spesso in mano ad aziende il cui unico fine è il profitto, a discapito della salute delle carcerate). Ad essa ora è stato anche dedicato un progetto, la fondazione Poussey Washington Fund (per maggiori informazioni vi è il sito web https://crowdrise.com/pwf), il cui fine sarà aiutare le detenute fuori dal carcere, riformare la giustizia penale e le organizzazioni benefiche per i diritti degli immigrati. Questa iniziativa sostiene otto organizzazioni, che da anni lottano per cambiare la giustizia ed aiutare gli immigrati e le donne in difficoltà, tra le quali verranno equamente divisi i fondi ricavati attraverso le donazioni.

Di stesso stampo, anche se per tematiche differenti, si distingueva la serie televisiva Tredici, basata sul romanzo 13 di Jay Asher.

Partendo dall’episodio del suicidio di Hannah Baker, la serie si sviluppava in modo articolato, riuscendo anche a lanciare una seconda stagione senza più il sostegno del libro, il cui fine era denunciare il fenomeno del bullismo che negli ultimi anni si è ulteriormente rafforzato, anche grazie ai nuovi mezzi di comunicazione ed i social. Personalmente ho trovato le prime due stagioni molto potenti e (spero) anche educative, in particolare della seconda ho apprezzato molto anche gli annunci (a cui partecipavano tutti gli attori del cast) dove invitavano a cercare sostegno (fornendo anche indirizzi di siti web e numeri telefonici) e a denunciare i carnefici.

Recentemente tuttavia ho visto il trailer della terza stagione, la quale verrà rilasciata il 23 agosto, che mi ha alquanto perplessa: la serie sembra aver cambiato completamente genere, lasciando perdere tutto l’aspetto sociale per diventare una brutta copia di Pretty Little Liars.

Ovviamente è ancora presto per esprimere dei giudizi, ma spero davvero che i produttori non abbiano sacrificato lo spirito che rendeva questa serie decisamente unica (anche se mi viene in mente Diario di una nerd superstar,altra serie che denunciava la realtà sociale all’interno del tipico liceo americano, ma con un tocco differente), per accalappiarsi una nuova fetta del pubblico.

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