Vampyr e l’evoluzione dei videogiochi “decisionali”

La scorsa settimana ho terminato una chicca scoperta ultimamente, Vampyr, prodotto lanciato l’anno scorso da Dontnod Entertainment

Questa casa produttrice si è resa nota al pubblico con altri capolavori molto apprezzati, tra cui Life is strange e lo spin-off Before the storm, titoli che io stessa ho rigiocato più volte per esplorare i vari scenari a seconda delle decisioni prese durante la partita; tuttavia la differenza tra quest’ultimo gioco e  gli altri due è già notevole sebbene siano prodotti dalla stessa casa: in Vampyr le decisioni infatti hanno un peso ben maggiore.

*SPOILER* (da qui in avanti farò diversi riferimenti che potrebbero infastidire chi non ha ancora terminato questo titolo, non dite che non vi ho avvisati) : sin dal risveglio nella fossa comune, il nostro Dottor Reid si ritrova a dover subito scendere a patti con la sua nuova natura, quella di vampiro. Il gioco ci lascia libera scelta, a mano a mano avremo la possibilità di nutrirci (e quindi di uccidere) praticamente tutti i personaggi in cui ci imbatteremo, tuttavia la morte di ciascuno di essi avrà delle conseguenze: il livello di salute del quartiere a cui appartiene scenderà notevolmente (ed una volta giunti all’ultimo, ossia Ostile, verremo attaccati ogni due passi durante i nostri spostamenti), se faremo fuori anche i mercanti non avremo qualcuno con cui commerciare ed ovviamente andremo in contro ad un finale diverso.

Dalle mie ricerche in rete ho scoperto che vi sono circa 4/5 possibili finali: io mi reputo un’idealista (nonché romanticona) e ho seguito quella che mi sembrava la linea logica della narrazione, quindi il mio è stato un vampiro onesto che non ha addentato quasi nessuno e che prestava assistenza medica a chiunque incontrasse (azione che ci fa comunque guadagnare punti esperienza, anche se non quanti se ne guadagnerebbero nutrendoci); di conseguenza ho sbloccato quello che si potrebbe etichettare come “happy end” (Londra salva, romance a buon fine, etc.).

Questo titolo mi ha sicuramente entusiasmata maggiormente rispetto ad alcuni suoi predecessori del genere, tra i primi che mi vengono in mente Deus ex, dove sia nelle missioni secondarie che nelle principali, si poteva scegliere l’approccio, chi risparmiare, etc. ma ai fini di trama non cambiava nulla di concreto, per non parlare della scelta finale del primo capitolo che sembrava assolutamente ESSENZIALE, mentre nel seguito non viene neanche nominata.

Con più nostalgia ripenso anche a trilogie a me più care come Mass Effect e Dragon age (di casa Bioware) dove le decisioni avevano effettivamente un peso già più palpabile, se non altro nel rapporto coi compagni di squadra, nelle alleanze ed ovviamente nelle possibili romance.

Anche nei precedenti lavori della Dontnod Entertainment, che avevo già citato all’inizio, le decisioni alle quali ci poneva di fronte la trama erano sicuramente diversificate, ma si seguiva comunque un percorso prestabilito ed in base alla decisione del finale, tutte le scelti fatte precedentemente (chi ha sofferto con Max e Chloe, SA a cosa mi riferisco) venivano annullate o comunque perdevano di significato.

Sicuramente tutte queste innovazioni ci consentono di immergerci in videogiochi sempre più realistici ed intriganti, ma forse alla base vi è anche una ferma volontà nel contrastare tutte quelle voci (sempre presenti) che sostengono che le nuove generazioni siano più portate alla violenza proprio a causa di questa forma di intrattenimento.

A riguardo mi viene sempre in mente un concetto espresso dal protagonista del celebre anime Sword Art Online (si sono una nerd fatta e finita), Kirito: nei videogiochi la gente tende sempre ad esprimere il proprio io, molti scelgono la strada dell’eroe come rivincita perché non hanno soddisfazioni nella vita reale, altri invece scelgono la strada del villain per dare libero sfogo ai loro più infimi desideri.

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