C’è una linea sottile che separa il genio dalla follia
Borderlands è quel tipo di gioco che è stato in grado di muoversi su quel filo impercettibile per almeno dieci anni, almeno per quanto riguarda i capitoli sviluppati da Gearbox. La recensione di Borderlands 3 è semplice e spinosa allo stesso tempo, perché richiede di mettere sul piatto una formula ben collaudata e perfezionata, che si scontra con la volontà di una rivoluzione che non si è mai veramente realizzata. Come giudicare quindi l’ultimo sforzo della squadra texana, partita già con svariate discussioni per le più disparate ragioni etico-economiche? Abbiamo deciso di muoverci in una direzione tanto semplice quanto sincera: quella di valutare il gioco in base al divertimento che abbiamo provato giocando a Borderlands 3.
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La storia di Borderlands 3: i gemelli Calypso e la Cripta
Storicamente la serie Borderlands non ha mai brillato nella narrazione. I pretesti con cui i diversi gruppi di cacciatori delle cripte venivano lanciati nelle loro incursioni, non facevano altro che trasformarsi in una moltitudine di compiti sparsi per le mappe di Pandora, il pianeta che fino a questo terzo capitolo ha fatto da sfondo agli eventi di Borderlands. È anche vero che il secondo gioco ha ampliato le basi e posto un cattivo al centro dell’attenzione che rimarrà per sempre nella mente di milioni di giocatori. Proprio a confronto con Jack il bello, i gemelli Calypso sono chiamati a scontrarsi, i nuovi super cattivi si sono mossi per motivi che sono sempre troppo casuali e che, anche se totalmente rivelati nelle ultime fasi, non riescono ancora a lasciare il segno. I ragazzi di Gearbox, probabilmente consapevoli di dove sostituire un personaggio troppo amato, hanno scelto la via della sottrazione, mostrandoli poco o niente nella prima metà della campagna e quindi concentrandosi su personalità “social” fortemente legate alla società di oggi. I Calypso sono in effetti l’equivalente delle webstar di oggi, che creano flussi live per i loro fan e puntano sempre più in alto per soddisfare il desiderio dei loro spettatori.
Questo elemento, se non altro, rappresenta una sezione trasversale della società che non è totalmente ignorabile, il che dimostra chiaramente anche un altro importante dettaglio di Borderlands 3. Nonostante ciò che si potrebbe pensare o ciò che alcuni vogliono far credere, dietro il potere e l’irriverenza di una scrittura che non si ferma, nasconde una storia che tocca questioni mature che vanno dall’importanza del gruppo alla sincerità familiare, passando attraverso ciò che significa essere un leader ed anche per la gestione del lutto. Le trenta ore necessarie per terminare la storia dedicandogli il giusto tempo, sebbene tentando invano di raggiungere epici momenti cinematografici, ci hanno colpito per il modo in cui pone la donna al centro (come è sempre stata in Borderlands) senza mettendola sul piedistallo del fare del bene.
Altrettanto interessante è la scelta di riempire una sezione centrale con una serie di missioni che portano a trovare così tante vecchie conoscenze, senza trasformarle in NPC inutili. In breve, ti ritroverai alla fine di Borderlands 3 pensando di aver vissuto una storia noiosa e sciatta, sicuramente meno accurata di alcune attuali produzioni di videogiochi, ma non per questo meno elaborata. Un dettaglio su tutto ciò che evidenzia la forza della scrittura di questo capitolo rispetto a quelli precedenti, è la cura con cui sono state elaborate le infinite missioni secondarie presenti. Inutile dire che non tutti raggiungono la pienezza strutturale e narrativa, ma stiamo parlando di un carro di compiti (almeno sessanta) che presentano alcuni pezzi degli anni Novanta. Eseguirli significa aprire canali diretti con lo sfondo di un’intera galassia. Tra le follie personali degli individui bruciati mentalmente, passando attraverso richieste di soccorso, anche alla possibile scoperta di antiche civiltà, i compiti secondari sono la vera essenza di un’esplorazione altrimenti piuttosto piatta. Lungi da noi anticipare in dettaglio alcuni di questi momenti tutti da vivere, ma è chiaro, alla luce della storia della serie, quanto sia importante essere incoraggiati a girovagare per i Borderlands.
Il gameplay migliorato
Se a livello narrativo Borderlands 3 ha fatto un grande passo avanti rispetto al passato, è in termini di gameplay che è stato raggiunto il pieno perfezionamento della formula. Negli ultimi mesi vi abbiamo detto più volte come il gioco non avesse spinto nella direzione della rivoluzione. Giocare a Borderlands 3 per coloro che provengono dai precedenti capitoli della serie è infatti tanto semplice quanto immediato: tutto è a posto, dal menu principale alla gestione dell’inventario, passando per la scelta delle classi e la crescita di ogni singolo personaggio. Allo stesso tempo, questi elementi costituiscono anche i tratti migliori e meno riusciti.
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Nonostante un sistema di gioco che funziona ancora oggi dopo dieci anni e che dà ulteriore valore alle intuizioni passate del team texano, non c’è dubbio che la decisione di non modificare nulla si rivela un po ‘conservatrice. In questo decennio sono state realizzate quasi due generazioni di console e trovarsi ancora oggi a rivolgersi a mappe divise da orribili muri invisibili e letteralmente “cliccabili” è il meno coinvolgente che si possa trovare in un videogioco all’alba del 2020. Accanto ciò è dovuto anche alla forte mancanza di interattività con gli ambienti e ad una serie sproporzionata di mappe essenzialmente vuote, che non allettano la ricerca dei pochi tipi di oggetti da collezione, se non per il gusto di ascoltare l’ennesima registrazione con un altissimo tasso di umorismo. Quasi scontata è la scarsità dell’intelligenza artificiale: nonostante i progressi fisiologici, Borderlands 3 rimane un tiratore saccheggiatore e, come tale, certamente non indica le qualità intellettuali del numero infinito di foraggi a cannone che viene lanciato sullo schermo.
Dato che abbiamo davvero molto da dire sugli aspetti positivi del gioco, chiudiamo la parentesi sulla leggerezza dello sviluppo parlando della gestione dei menu. Le modifiche rispetto al secondo capitolo sono state pochissime, ed è così che ci troviamo ancora a navigare in un’interfaccia scomoda e non intuitiva, senza alcun tipo di personalizzazione e con la sensazione di aver quasi risparmiato sul lavoro, piuttosto che per una scelta precisa mantenere una coerenza strutturale. Gestire il proprio inventario è come l’inferno anni fa, con la conseguenza che, a meno che non si “blocchi” gli oggetti, si rischia di finire per vendere o buttare via quelli equipaggiati. Lo stesso vale per la mappa, che non è ancora molto navigabile e, sebbene qui abbellita da un teletrasporto istantaneo senza passare attraverso gli speciali aggeggi, è difficile credere che sia impossibile teletrasportarsi direttamente alle parti dei propri compagni di squadra, specialmente alla luce dell’introduzione del movimento rapido all’interno dei propri veicoli. Fatta eccezione per questi elementi, non possiamo nascondere il fatto che il resto è tutto lì dove deve essere, inclusa una struttura di ricerca che, per quanto basilare, cerca sempre di mettere diversi luoghi e motivazioni sul piatto.
Ciò che funziona meglio in questo senso è proprio la differenziazione, valida sia per i tipi di nemici che per quello dei quattro eroi disponibili. Gli antagonisti rispondono a una serie di classi specifiche e, di conseguenza, devono essere trattati più o meno a un livello basso. All’interno della singola categoria, tuttavia, ci sono una miriade di sottoclassi, che aumenteranno il grado di difficoltà del gioco. Ognuno di questi può avere tre diversi tipi di energia: quella vitale in rosso, l’armatura gialla e lo scudo blu. I diversi elementi e alcuni vantaggi specifici delle armi che troveremo in gioco, si dimostreranno più adatti all’uno o all’altro, aggiungendo quel pizzico di strategia che non guasta mai.
Parlando invece dei personaggi che possono essere scelti, questi si sono rivelati estremamente più dettagliati che mai. Ognuno di loro può crescere come meglio crede in ciascuno dei tre rami disponibili. Questi ti consentono di acquisire una singola abilità attiva, da equipaggiare in base alle possibilità della classe scelta, seguita da un’intera serie di abilità attive e passive sottostanti. La loro attivazione non cambierà solo l’abilità di classe, ma cambierà radicalmente l’aspetto strutturale della build per il proprio personaggio, istruendoli verso i compiti più disparati. Non ci sono limiti alle possibili scelte, se non quella dettata dall’attuale livello massimo attestato al livello 50. Come sempre, è anche possibile decidere di cancellare tutti i punti spesi e ridistribuirli, a un costo variabile basato su un percentuale di denaro disponibile. Abbiamo trascorso circa 45 ore al comando di Fl4k, l’allenatore, trascorrendo invece altre dieci equamente divise tra gli altri personaggi. Le differenze si sono rivelate sostanziali non solo cambiando il cacciatore, ma anche provando a modificare fortemente una build già creata, trasformando un personaggio in mischia come Amara in una sirena totalmente elementale in grado di combattere anche a grande distanza. Questa differenziazione è uno degli aspetti più curati degli aspetti del titolo e migliorato rispetto al passato.
Concludiamo questa discussione sul gameplay applaudendo Gearbox per il modo in cui ha affrontato le fasi di gioco reali. L’intuizione di aggiungere una scivolata nel gioco (che tra l’altro può rivelarsi un’arma molto fedele equipaggiando alcune reliquie specifiche) ha permesso al gioco di raggiungere una maturità considerevole. Questo elemento combinato con un gioco di armi rinnovato ed estremamente fluido, fatto di salti e piombo come mai prima d’ora, consente a Borderlands 3 di provare un’esperienza avvincente.